Approfondimento: L’ottava arte non andrebbe considerata tale?

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Si dice che il cinema sia la settima arte, giustamente a mio parere. Tralasciando le declinazioni delle altre arti (la fotografia sarebbe l’ottava, declinata dalla pittura e via dicendo), mi chiedo spesso perché il media videoludico non possa essere considerato arte a se stesso.

I videogiochi sono un media relativamente nuovo e che ha subito una trasformazione che non ha pari nella storia delle espressioni umane. Evolvendo di pari passo con la tecnologia, i videogiochi hanno guadagnato sempre più importanza sin dagli anni ‘70 in avanti. Eppure essi sono considerati giochini per teenager introversi, per persone violente e per bambocci. Certo, i videogiochi spesso e volentieri sono attività da praticarsi da soli, oppure via una connessione internet, dentro casa.

arancia-meccanica-locandinaSebbene il media videogioco sia parte della vita di tutti i giorni, esso viene demonizzato da più parti. Ci ricorda un po’ gli stessi pregiudizi che erano indirizzati verso la televisione. I film violenti rendono le persone violente. Eppure chi si sognerebbe mai di criticare Apocalipse Now, Arancia Meccanica, Full Metal Jacket e molte altre pellicole che, sebbene violente, sono considerate dei capisaldi della storia della pellicola? L’umanità ha accettato che i film siano brutali rappresentazioni di una parte dell’umanità di cui non andiamo fieri. Non si tratta solo di film di guerra, ma anche di altre opere controverse e che mostrano alcuni dei punti più bassi raggiunti dall’uomo (Schindler’s List in sostanza mostra sia il bene e il male che alberga nell’animo umano). Pellicole che raggiungono lo status di opere d’arte. Lo stesso trattamento non è purtroppo riservato a videogiochi, sebbene si tratti di un’industria fiorente e sempre più importante a livello planetario. Forse perché dare la colpa ai videogiochi violenti piuttosto che a noi stessi, al degradare delle relazioni sociali e specialmente famigliari, da troppo fastidio e richiede troppa autocritica. È molto meglio trovare un bel capro espiatorio!

Se diamo una velocissima occhiata alle cifre a livello mondiale, il mercato del cinema vale 32,6 miliardi di dollari (cifre 2011 del box office, pubblicate dalla MPAA[1]) mentre quello videoludico vale 65 miliardi di dollari (secondo Reuters[2]).

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Gli americani da soli hanno speso 24,75 miliardi di dollari nel 2011 (secondo la ESA[3]) in giochi e hardware. Anche in Europa il mercato è davvero vasto, con almeno un terzo degli europei che giocano regolarmente (dati IFSE[4]), tra cui molte donne. Insomma, il tanto bistrattato mondo dei giochini elettronici vale il doppio di quello del film (anche se, per essere onesti, contando la vendita dei DVD, del noleggio e di varie attività legate all’uscita dei film, questi ultimi hanno guadagnano circa 88 miliardi di dollari nel 2010, secondo PwC[5]).

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Ma non si può dare un valore a qualcosa solo guardandone il prezzo! Verissimo che molti giochi, specialmente i più famosi, sono giochi di guerra in cui le esplosioni la fanno da padrone. Titoli quali Battlefiled o Call of Duty, stringi stringi, richiedono al giocatore di sparare a un vasto numero di nemici, che siano controllati dal computer oppure che siano comandati da altri esseri umani via internet.

Eppure la serie più famosa di tutte, Super Mario, ha venduto complessivamente 290’260’000 copie senza essere violenta o sanguinaria. Non male per un piccolo idraulico italiano!

Eppure, qualcosa sta cambiando non solo nella percezione del media videogioco, ma anche in chi i giochi li fa. Alcuni esempi illustri di “story telling” (ovvero del modo in cui la storia viene raccontata) possiamo trovarli nel thriller Heavy Rain di David Cage oppure nel poliziesco L.A. Noire. Non dimentichiamoci nemmeno alcuni esperimenti artistici quali Child of Eden oppure il poetico Journey. Titoli che mescolano sapientemente arte, musica, suoni, colori, figure e metafora per diventare qualcosa di più di un semplice passatempo.

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Un gioco ben fatto, con una storia accattivante e dei personaggi credibili è, a mio avviso, preferibile ad un film. Nei film siamo semplicemente spettatori passivi, coinvolti solo da emozioni di riflesso. In un gioco le emozioni sono molto più nostre, più intime, dal momento che siamo noi i fautori del destino del nostro alter ego virtuale.

L’essere noi ai comandi ci cambia la prospettiva, ci fa affezionare e crea un legame empatico che semplicemente non può esistere in altre forme d’intrattenimento.

I videogiochi sono palesemente qui per restare e continueranno ad evolvere di pari passo con l’umanità. Come film e letteratura, sono anch’essi specchio delle nostre paure e dei nostri sogni e hanno un potenziale davvero infinito. Sarebbe davvero ora che tutti, sia creatori che semplici acquirenti, se ne rendessero conto. E per una volta, cerchiamo di estendere quel senso critico e quell’apertura mentale che riserviamo alle pellicole cinematografiche: potreste restare piacevolmente sorpresi!

 


[1] http://www.mpaa.org/Resources/5bec4ac9-a95e-443b-987b-bff6fb5455a9.pdf

[2] http://uk.reuters.com/article/2011/06/06/us-videogames-factbox-idUKTRE75552I20110606

[3] http://www.theesa.com/facts/index.asp

[4] http://www.isfe.eu/industry-facts/facts

[5] http://dwmw.wordpress.com/2011/03/16/movies-and-money/

Written by: Dave

Editor in Chief di Joypad, lo trovate anche sui social @MrPipistro

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Joypad è il sito indipendente di videogiochi, tecnologia e film per la Svizzera italiana.

Il sito nasce quale tentativo di informare i giocatori della Svizzera italiana nel modo più completo possibile riguardo ai media videoludici, cercando di contestualizzare l’informazione per gli ascoltatori di questa regione spesso dimenticata dalle grande aziende mondiali. Dalla metà del 2013 si occupa anche di film con la rubrica Joypad Movies.

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