Sud Eau Nord Déplacer è un film di Antoine Boutet nel quale andiamo a fare uno scenografico viaggio per la Cina alla scoperta della Nan Shui Bei Diao, un’opera tanto faraonica quanto incredibile messa in atto dal governo cinese negli ultimi 50 anni. Il film fa parte della sezione Concorso Cineasti del Presente.
Il progetto prevede di trasferire parte del flusso del fiume Yangtze, che scorre nel sud del paese, verso il nord tramite 3 canali distinti. Il progetto, approvato definitivamente nel 2002 verrà portato a compimento tra una cinquantina d’anni e ha un costo stimato di 64 miliardi di dollari. Come dire che dovremmo cambiare l’espressione “progetto faraonico” in “progetto cinese”.
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Il documentario di Boutet ci porta per un viaggio di 110 minuti per la Cina contemporanea. Grazie alla sua telecamera vedremo la quotidianità delle persone che vivono attorno alla Nan Shui Bei Diao, persone che ci lavorano, che l’hanno pensata e soprattutto persone che hanno perso casa e terre per fare spazio all’ennesimo progetto del governo centrale. Scopriamo che si stanno facendo enormi sforzi per “verdificare”, per rendere dunque verdi, ampie zone desertiche. Lo scopo ultimo è migliorare la qualità di vita di Beijin, riducendo le tempeste di polvere. Certo, un po’ egoistico da parte della classe politica far lavorare come pazzi delle persone a centinaia di chilometri solo per avere meno sabbia sui loro preziosi palazzi, no? Boutet ci porta poi a scoprire la filosofia del progetto, per parola di uno dei suoi ideatori. La vastità del progetto è immensa e secondo i suoi fautori non porterà che benessere alla Cina, con nuove zone coltivabili. Tuttavia, appena si va a sentire cosa ne pensano i cittadini, le cose risultano essere ben diverse. Espropri forzati, corruzione, catastrofi naturali. La Nan Shui Bei Diao sembra proprio causare molta più sofferenza e problemi di quanto dovrebbe risolverne. Sud Eau Nord Déplacer è quindi contemporaneamente documentario e sottile critica al governo cinese, per bocca dei suoi stessi cittadini. Boutet infatti non pronuncia una sola parola, lasciando che siano i suoi campi lunghi e immobili a parlare. Un esperimento riuscito solo in parte visto che, dall’altro della mia scarsissima competenza, ho trovato questa pellicola estremamente tediosa. Un argomento interessante come questo, dai mille risvolti umani e naturali, viene solo sfiorato. Certo, bella la fotografia in alcuni casi, ma pochissime informazioni utili. Alla fine dei 110 minuti vorremmo davvero saperne di più, ma restiamo insoddisfatti. Un’occasione un po’ persa per approfondire la questione.